Biografia

Il Parroco Carlo Manché - "Un Grande Cristiano"

Dal Mons. Prof. Arturo Bonnici, DD, BA, BL Can, HEL

Con questo titolo un ex-protestante inglese, un certo Signor A Turnham, ha pubblicò un apprezzamento sul Times of Malta, dopo la morte del Parroco di Gżira, Don Carlo Manché, che lo aveva convertito al cattolicesimo.

“La sua tolleranza, il suo altruismo e, soprattutto, la sua carità ha lasciato un segno indelebile incisa dentro di noi, e l’abbiamo sempre ricordato come un degno successore dell’altro Carlo (Borromeo), che tanto tempo fà, riformò Milano e aiutò la Chiesa in una fase difficile della sua storia. La sua pratica assoluta della vita cristiana, come Cristo stesso ci ha insegnato, è il prodotto della sua perfetta unione con il Signore.”

Era corretta questa affermazione? Questo è ciò che vedremo in questa biografia pubblicata dalla Società dei Sacerdoti Christus Rex 25 anni dopo la morte del tanto amato Don Carlo Manché.

Chi era questo “grande cristiano”?

È nato Don Carlo

Don Carlo era nato a Valletta, Malta, il 22 settembre 1905 e fu battezzato nella chiesa di Porto Salvo. Era uno di sette figli, che il Medico Chirurgo Charles Manché, un tenente-colonnello dell’esercito inglese, ha avuto con la sua prima moglie, Josephine née Falzon, e un fratello di otto altri figli che lo stesso medico ha avuto con la sua seconda moglie, Lucrezia neé Tanti.

Della famiglia Manché il primo che conoscevo era il nonno di Don Carlo, il Professor Lorenzo Manché, un noto oculista che precedeva il Professor Luigi Preziosi. Mi ricordo, quando avevo circa nove anni, mi sono stato portato a sua casa in Strada Alessandro, Valletta. Mi hanno portato per le scale al lato della Porta Reale a Valletta nella sua clinica. Ha controllato i miei occhi e gli occhiali prescritti. Il Professor Manché era un noto scienziato, un patriota e soprattutto un cristiano fervente e molto caritatevole.

Don Carlo da bambino

Non avevo conosciuto Don Carlo allora, e per saperne di più sulla sua infanzia ho visitato il suo fratello, il Professor Joseph Manché, ex-Rettore dell’Università Reale di Malta, al quale ho chiesto di dirmi qualcosa, e cominciò a raccontare come un giorno Carlo, ancora un bambino, lasciò la casa da solo. Quando lo cercarono in giro per casa, i suoi genitori non riuscirono a trovarlo. Alla fine la polizia informò i suoi genitori che lo avevano trovato sul lungomare. Si corsero via e lo trovarono … tirando alcune barche. Molto presto ha voluto essere come San Pietro!

Più di una volta, ha continuato il Professor Manché, lui corse lontano da casa. Aveva l’abitudine di andare al negozio di Mortimer e poi tornare a casa spingendo una carrozzina con un bambino dentro, che le donne inglesi avevano lasciato in entrata del negozio, fino a quando non sono andate al piano di sopra a comprare qualcosa. Inutile dire che i suoi genitori lo rimandavano indietro con la carrozzina ed il bambino. Ma nel frattempo, le povere madri, si può solo immaginare quanto miserabile sarebbero diventati, non sapendo ciò che era accaduto ai loro figli. Pensi che potrebbe essere stato il desiderio in lui per proteggere i bambini che egli può aver pensato era stato abbandonato?

La sua educazione

Don Carlo ricevette la sua prima educazione religiosa e civile a casa dai suoi genitori. Tutti sanno che la famiglia Manché era religiosamente molto buona e intellettualmente molto colta. Socialmente si erano conosciuti come caritatevoli. Chissà quanti pazienti con malattie dell’occhio il Professor Lorenzo e suo figlio il Dottor Charles Manché curati gratuitamente al loro clinica.

Don Carlo si era cresciuto sotto la disciplina di un padre che era abituato e disciplinato nel servizio militare inglese. Suo fratello mi ha detto che quando erano giovani i loro genitori l’avevano vestiti da marinai. È stata la moda in quei giorni perché anche io ho avuto un vestito da marinaio. Una volta, quando il re Edoardo VII visitò Malta, i fratelli Manché, vestiti da marinai, sono andati vicino al cannone al Barrakka Superiore ad aspettare il Re passare per il servizio religioso nella chiesa che si trovava dove oggi si trova l’Ufficio Postale. Come videro il re avvicinando, si trovavano in linea e lo salutarono. Il re si avvicinò per parlare con loro. Lui trovò bambini maltesi che parlavano l’inglese perfetto, come se quella era la lingua che parlavano a casa.

Quando lui era vestito da marinaio, Carlo si sentiva superiore, come se fosse davvero un marinaio durante il servizio. Il Professor Manché mi ha detto che, quando suo fratello indossava quel vestito la domenica, non aveva voglia di giocare come al solito con il ragazzo della porta accanto soprannominato “il-Paqqa”. Il ragazzo si sentiva offeso. Ma il giorno dopo si parlarono e giocavano con l’altro di nuovo… come durante la settimana Carlo non sarebbe in servizio!

Finché continuavano a vivere a La Valletta, Carlo frequentò l’Istituto Maltese di Educazione Cattolica (San Giacobbe) e, come durante la sua infanzia, siccome Carlo non parlava bene maltese, Mons. Enrico Dandria gli insegnò il catechismo in lingua inglese.

Con i Fratelli Cristiani ed al Liceo

La prima scuola elementare che Carlo frequentò era il Collegio di Stella Maris gestito dai Fratelli Cristiane in Villa Schinas, a Strada Rudolfo, Sliema, come nel frattempo, la famiglia si era trasferita Manché da Valletta a Gżira.

È un peccato che nessuno dei professori che insegnavano Carlo in quella scuola è ancora vivo, perchè avremmo scoperto più su di lui. Da suo fratello ho scoperto che Carlo si piaceva servire il sacerdote diceva la messa a quella scuola. Quei religiosi hanno buoni motivi per essere così felice ed orgogliosi che la loro scuola ha prodotto uno studente con la sua saggezza e la sua santità.

Dai Fratelli Cristiani si è trasferito al Liceo dove ha continuato i suoi studi, fino a quando nel 1921, ha superato l’esame di matricolazione. Avevo superato tale esame un anno prima di lui, ma, come il corso universitario iniziava ogni tre anni, ho dovuto aspettare un anno e così Don Carlo ed io avevamo iniziato il corso di letteratura, o il corso preparatorio per la Teologia.

Studente Universitario

Non so perché don Carlo non è stato avviato il corso accademico per la laurea letteratura, anche se lui era un uomo molto intelligente, giovane e aveva una buona conoscenza della lingua inglese, con una predisposizione enorme per tutte le lingue straniere. Per questo motivo non è stato notato molto in quel corso.

Tuttavia, non appena ha iniziato il corso di teologia, tutto è cambiato. Fu subito evidente che in quel corso ha trovato gli argomenti di suo gradimento – Teologia, la Scrittura e Diritto Canonico. E per me, che ero abituato a sempre venire primo nel corso di preparazione, lui cambiò tutto perché durante i quattro anni non mi ha dato alcuna possibilità di batterlo in voti. Aveva l’abitudine di venire primo e, perché c’erano solo due di noi, avevo l’abitudine di venire all’ultimo. Non è così?

Noi entrambi studiavamo. Abbiamo gareggiato per ottenere il massimo dei voti, ma, credimi, tra di noi non c’è mai stata alcun rivalità o invidia. Al contrario, presso il Seminario ci abbiamo trovato davvero bene insieme.

Abbiamo indossato la tonaca insieme

Ho menzionato il Seminario, perché nell’ottobre del 1924 siamo entrati nel Seminario di preparazione al sacerdozio. I nostri superiori erano Mons. Arcidiacono Giuseppe Apap Bologna come Rettore, Mons. Joseph Darmanin come Vice-Rettore, ed il Canonico Teologo (poi Vescovo titolare di Tralles e vescovo ausiliare di Malta) Emmanuel Galea come Prefetto degli Studi.

Nella loro saggezza hanno scelto il 4 novembre, festa di San Carlo, come il giorno in cui ci devevamo indossare l’abito talare per la prima volta. Non riuscivo ad essere offeso, siccome il mio santo non appariva sul calendario romano.

Come eravamo felici con il servizio! Nel mio caso, come non ero mai stato un chierichetto, e nel suo caso, come ai Fratelli Cristiani era abituato ad indossare solo la ‘zimarra’ (un abito lungo). Il giorno dopo, mi ricordo, siamo andati all’università e nostri professori erano così felice per noi. Il buon Mons Karmenu Zammit ci aveva detto: «Prendersene cura!» Io, che il giorno in cui l’avevo indossata per la prima volta si è rimasta bloccato alla ringhiera delle scale e si strappò, rispose prontamente: «L’ho già strappato.» «No, figlio mio, voglio dire in un altro senso: se ne prende cura.» Poi ho capito il senso spirituale delle parole di quel professore santo. Forse il parroco Manché ha mai strappato la tonaca? C’è qualcuno che può dire: «Sì»?

Al Seminario ho avuto modo di conoscere bene il Manché. Era un uomo buono, studioso e preciso. E questo è stato confermato da tutti coloro che hanno avuto a che fare con lui e ci ha dato alcune informazioni su di lui.

Manché il musicista

La famiglia Manché è ben nota come una famiglia di musicisti: ognuno è in grado di suonare uno strumento o più. Quando arrivò al Seminario, Don Carlo portò con sé un violino, che poteva suonare bene, e una chitarra, che suonava meglio (sapeva anche suonare l’oboe). Dopo il nostro primo anno presso il Seminario, Don Cesarin Attard, che suonava l’armonium nella cappella, si ordinò sacerdote e se ne andò. Chi stava a prendere il suo posto? Non c’era nessun altro musicista che il Manché! Ma lui non sapeva suonare né il piano né l’armonium. Allora si procurò una piccola fisarmonica – mi sembra ancora di vederla in mano – e l’usò per guidare il nostro canto. Poi, cominciava a stare a casa quando era il tempo per la nostra passeggiata per prendere lezioni di pianoforte con il Maestro Diacono e, in breve tempo, iniziò a suonare e ci guidava sull’armonium.

In quei giorni, Dun Karlu, un agostiniano, veniva ogni Domenica al Seminario per insegnarci a cantare. Quando una festa si avvicinava, in cui l’Arcivescovo Caruana voleva seminaristi a cantare il canto gregoriano, si sarebbe venuto a insegnarci e avrebbe chiesto Don Carlo a rafforzarci ulteriormente durante l’intervallo. Posso ancora ricordarlo con l’ancia tra le dita, lo mette in bocca per ottenere la nota e con una mano sollevata ci guidava. Da parte nostra c’era sempre qualche scherzo e lui ci sorrideva. Nel frattempo, il canto a San Giovanni cessato, il Manché ci preparava a cantare un po’ di Messa Gregoriana.

Per qualche tempo Don Carlo era il nostro prefetto. Aveva un difetto. Non appena si svegliava al mattino o nel pomeriggio, lasciava la sua cella più addormentato che sveglio e noi lo spingevamo intorno per svegliarlo. Sembrava che gli piaceva e lui ci lasciava a spingerlo. Questo difetto, il signor Giann Cauchi ci ha detto, ha mantenuto anche quando è diventato parroco. Tuttavia, ha proseguito, quando lo chiamavano per dare assistenza durante la notte, lui perdeva tutta la sua sonnolenza, tanto forte era la sua volontà di fare il suo dovere bene.

Un uomo di precisione

La cella di Manché presso il Seminario era come una casa da bambola. Ogni cosa al suo posto e pulito, un letto ben fatto e una scrivania con i libri tutti in ordine. Lasciatemi raccontarci quello che è successo un giorno. È stata una Domenica, prima di partire per andare a San Giovanni, sentivo la voglia di fare uno scherzo su di lui. Quando uscì dalla sua cella, sono andato a disorganizzarla. Libri qua e là, la candela rovesciata, la sua sedia a testa in giù, ma non toccai il letto.

Quella mattina, mentre eravamo ancora a San Giovanni, qualche Prelato era arrivato dall’estero viene a visitare il Seminario. Il Rettore, che ha saputo l’ordine che il Manché di solito teneva la sua stanza, migliore della nostra, per dargli un senso di ordine che esisteva presso il Seminario, decise di invitarlo nella stanza di Manché. Si può solo immaginare come sorpreso e mortificato il Rettore è stato quando trovò tutto quel disordine! Quando siamo tornati il Rettore lo chiamò e gli disse quale disordine lui trovò nella sua stanza. «Non lo so», rispose Manché, «Ho lasciato la stanza, come faccio di solito.» Quando ci raccontò questa allodola, confessai il mio peccato e lo chiesi il suo perdono. Ma con Manché non c’era bisogno di scusarsi, anche quando si fargli del male intenzionalmente. Molto meno se si scherza innocentemente con lui e lo scherzo provoca danni.

Don Carlo non era una persona scrupolosa, ma aveva una coscienza molto delicata. Ricordo che per qualche tempo, quando studiava questioni sessuali indossava la surplice per mantenere la sua anima sollevata verso il cielo, anche quando si pensava di cose terrene. Mi sembra di pensare che lui ci aveva detto che questo è cosa aveva letto da S. Alfonso de Liguori o qualche altro santo, non so.

Al seminario i seminaristi non è stato permesso di fumare più di tre sigarette al giorno, una dopo il caffè, uno dopo pranzo e uno dopo cena. Don Carlo ci piaceva fumare sigarette e sentiva la voglia di fumare durante il periodo di studio, ma sempre sentiva l’obbligo ad obbedire la regola. In questa lotta, riuscì a trovare un compromesso che era approvato dai Superiori, non tanto perché si fermassero gli abusi, ma perché era suggerito da Manché. Egli suggerì che sarebbe permesso a suddividere le tre sigarette giornalieri in sei parti, e che tre metà sarebbero fumate durante i tempi prescritti e le altri tre nel tempo di studio.

Ordinazione Sacerdotale

Dopo gli esami del primo anno di Teologia cominciammo ad ordinarci: il 18 Settembre 1925 ricevemmo la tonsura presso il Seminario e il giorno seguente l’Ostiario ed il Lettorato; il 18 dello stesso mese l’anno successivo ci sono stati concessi gli ordini di Esorcista e Accolito. Il 24 settembre 1927 ci siamo stati ordinati suddiaconi, o diventati impegnati, come si diceva. Il 24 Marzo 1928 siamo diventati diaconi. Il 22 settembre dello stesso anno ci siamo stati ordinati sacerdoti. L’Arcivescovo Mauro Caruana condusse i nostri ordinazioni nella Cattedrale [a Mdina], fatta eccezione per il diaconato che ha avuto luogo a San Giovanni [a La Valletta]. Don Carlo disse la sua prima messa nella chiesa alta cosiddetta “Tal-Gebla” (“della pietra”), la Chiesa Parrocchiale di Gżira. Ciò avvenne senza troppa pompa il 23 settembre 1928.

Il primo d’ottobre ci conferirono la laurea di Teologia e del Bacellerato di Diritto Canonico. Don Carlo venne primo nel corso e vinse una borsa di studio per studiare ad un’università all’estero. Egli scelse di andare a Roma, dove studiò per due anni presso l’Università Gregoriana dove gli era stato conferito il Dottorato di Filosofia.

Don Carlo – il linguista

Don Carlo aveva una comprensione eccellente della lingua inglese, parlava fluentemente l’italiano e scriveva bene in latino. Egli sapeva anche il francese, lo spagnolo ed il tedesco.

Un giorno una sua zia venisse dalla Germania e Don Carlo, ancora un Seminarista, voleva parlare con lei in tedesco. Comminciò ad imparare quella lingua e a praticarla con lei e in poco tempo imparò quella lingua perfettamente. Ho sentito dire: come si fa a saperlo? Lo so perché quando ero ancora assistente segretario l’arcivescovo, un giorno una giovane donna dall’Austria o dalla Germania visitò l’ufficio chiedendomi a scriverla la dispensa del matrimonio, siccome il suo fidanzato era protestante. A me lei non parlava in tedesco, perché io conosco solo «Ja» e «Nicht», ma a Don Carlo, che era il suo parroco, parlava con lei in tedesco. Nel corso delle nostre conversazioni lei mi disse che la sua parlata in tedesco era perfetta: le sue precise parole, «Parla tedesco come un tedesco.»

A proposito, ho dimenticato di dirvi che sapeva l’ebraico abbastanza bene. Abbiamo studiato ebraico e Sacra Scrittura all’università. Mi sembra ancora di vedere le lettere dell’alfabeto ebraico che lui scrisse, erano belli e precisi come quelli stampati nei libri ebraici. Aveva mani ferme per la calligrafia. Questo è stato sicuramente il prodotto della scuola dei Frères. (È ovvio che non ho mai frequentato quella scuola).

Inizia la sua vita ecclesiastica

Un sacerdote spiritualmente e intellettualmente ben formato non vale la pena di perderlo dal servizio in una diocesi. Di conseguenza, quando Don Carlo tornò da Roma, l’Arcivescovo Caruana lo nominò Vice Parroco di Gżira e al tempo stesso gli sono affidati i compiti di Prefetto degli Studi presso il Seminario Arcivescovile. Don Carlo servì entrambe le posizioni con lealtà, ma non si sentiva ancora del tutto al suo posto. Dio lo aveva chiamato per una vita più grande pastorale.

Con la morte del Parroco di Gżira, Padre Anton Manché, che era cugino di terzo grado di Carlo, Arcivescovo Caruana nominò Don Carlo Parroco di quella parrocchia, che cominciava a diventare più importante. Il 12 marzo 1935, il nuovo parroco prese possesso della parrocchia, tra la gioia delle persone che aveva già conosciuto per la sua bontà, la sua opera e la sua saggezza.

Se, come abbiamo visto, Don Carlo brillò nei suoi studi e la musica, ora vediamo lo brillare nella sua carriera pastorale. Don Michael Angelo Camilleri mi ha dato un mucchio di documenti con dichiarazioni sincere e affidabili fatte da persone che conoscevano il nuovo parroco molto bene, avendo vissuto e lavorato con lui nella parrocchia. Da queste dichiarazioni ho estratto quanto segue riguardo alle virtù, al lavoro ed ai sacrifici di Don Carlo Manché.

Il Buon Pastore

Il suo primo lavoro nella parrocchia come parroco, era stato quello di organizzare il clero della parrocchia. Per aiutare gli altri sacerdoti a sentirsi come una famiglia e che lui era uno di loro, cambiò la Casa parrocchiale in un presbiterio. Lì, il lavoro della parrocchia potrebbe essere studiato, progettato e realizzato in uno spirito di fratellanza e cooperazione.

In secondo luogo, Don Carlo volle portare a termine la costruzione della chiesa, per la quale aveva raccolto denaro da quando era un chierico, per arredare e renderlo più bello, come è degno di un Tempio di Dio. Era un prete moderatamente progressista (non anti-tradizionale). Era stato uno dei primi ad introdurre banchi, invece di sedie, per avere più ordine, non voleva troppi altari, in modo che l’altare maggiore resta il centro della devozione, fece confessionali grandi e chiusi realizzati per la libertà e la comodità del penitente, assicurò che durante le funzioni sacre il canto e la musica ascoltata in chiesa si attrasse e portasse a Dio.

Un Confessore ed Oratore eccezionale

Quasi tutte le persone di cui abbiamo parlato hanno dichiarato che Don Carlo considerava il confessionale come il luogo in cui si poteva fare il maggior bene, e hanno detto che gli piaceva ascoltare le confessioni per lunghi periodi, sia al mattino che alla sera. Pieno di pazienza e con parole dolci e celesti metteva in guardia il penitente e lo preparava per il perdono. Anche parlava con qualche penitente sulla vocazione religiosa o sacerdotale. Suor Clotilde Schiavone, una suora agostiniana, ci ha detto che lui era il suo confessore e che, durante la confessione, con le sue parole ti accendeva l’amore di Dio.

Si racconta che una volta, alle 11 di sera, un uomo è venuto a bussare alla sua porta per la confessione. Il parroco aperì la porta, gli chiese ad entrare e ascoltò la sua confessione. Che grande consolazione era per lui che non l’abbia mandato via, quando il giorno dopo venne a sapere che il penitente morì.

Un altro strumento a sua disposizione nel lavoro pastorale era la predicazione. Il parroco Manché si preparava in anticipo con la lettura di libri spirituali e di meditazione. Quindi, per tutti coloro che lo congratulavano dopo una predika, egli li rispondeva: «Congratula gli autori che ho letto!»

Ogni Domenica insegnava il catechismo in due lezione: una per i bambini alle 15:00 e l’altro ad un’ora che lui credeva fosse più opportuno per gli adulti. Alcuni testimoni ci hanno detto che, mentre i suoi prediche erano un po’ lunghi, la chiesa era piena e nessuno si sarebbe stufo, così dolce e persuadente furono le sue parole. In fatti, ci hanno anche detto che la gente veniva da altre parrocchie ad ascoltare le sue prediche.

A volte gli invitarono a presentare esercizi spirituali per il clero, per i laici e per gli studenti. A volte lo stesso arcivescovo ascoltava qualcune delle sue prediche. Sia i sacerdoti che i laici parlavano bene delle sue prediche.

Siccome parlava bene l’inglese e aveva una solida conoscenza della teologia, Don Carlo era uno strumento molto forte nelle mani di Dio per la conversione dei protestanti a Malta. Le persone di servizio andavano spesso a lui: piloti, marinai e soldati, per insegnare loro il catechismo prima di essere battezzati. Altri parroci gli piacevano riferendoli a lui.

Inoltre, il parroco aveva una buona penna e scriveva articoli con passione sul giornale.

Come Don Edoardo Corrado ci ha detto, e come io stesso ricordo, quando facevamo la soluzione del caso e fu la volta del Parroco di Gżira di presiedere, la sua soluzione era così chiara e semplice che tutti eravamo soddisfatti.

Un devoto dell’Eucaristia e della Madonna

Alcune persone ben informate ci hanno detto che il parroco Manché, anche se stanco dal lavoro, alla fine di una giornata, spesso trascorreva parte della notte adorare e meditare davanti al Tabernacolo Santo in chiesa.

Per il parroco Manché le feste più preferite erano Corpus Christi, Sacro Cuore di Gesù e la Madonna del Carmelo, patrona della sua parrocchia. Era anche un devoto di San Giovanni Battista de la Salle, fondatore dei Frères, di cui egli commissionò Guido Calì a fare un dipinto per la chiesa.

Dovere e sacrificio

Vi ricorderete che vi avevo detto che don Carlo gli piaceva fumare sigarette. Col tempo cominciò a fumare la pipa e alcuni dei suoi parrocchiani disegnavano una immagine mentale di lui come il parroco, con il cappotto sulle spalle in inverno e la pipa in bocca, uscendo con il sacrestano, con un sacerdote o con la polizia, facendo il giro nella sua parrocchia per fermare per quanto possibile gli abusi. Ci hanno detto che a volte ricevette minacce di morte da persone malintenzionate se avrebbe continuato a svolgere il sue dovere, ma non aveva mai avuto paura di queste minacce.

Come ci è stato detto da un ex-sacrestano di Gżira , Antonio Grima, che aveva notevolmente aiutato il parroco Manché nelle collezioni per l’arredamento adatto per la chiesa, quando scoppiò la guerra nel 1939, perché non c’erano rifugi, il parroco aperì le porte ai campanili in modo che la gente potesse prendere riparo. Insieme con il dottor Colombo lavorava duramente per avere rifugi di guerra scavate urgentemente. Il parroco ed il medico erano sempre pronti in caso di qualche tragedia dai bombardamenti ad assistere spiritualmente e fisicamente i feriti.

Un uomo di povertà

Il parroco Manché viveva una vita di mortificazione, lontano dai lussi e rumori del mondo. Oltre alla privazione della sua famiglia, che ha fatto per aiutare i suoi sacerdoti colleghi, si privava di tutto ciò che non era necessario. Cominciò con la casa parrocchiale dove occupava solo due camere – una camera da letto e l’ufficio parrocchiale, mal arredate. E, ricordate, Don Carlo non proveniva da una famiglia povera, ma da una che non aveva bisogno di niente. Per questo motivo, si sentiva la privazione di più. L’unico elemento di lusso (se così si può chiamare in questi giorni) era la radio, perché per lui la musica era uno sfogo e recreazione. Lui diceva che aveva riposava mentalmente e fisicamente quando andava a mangiare con i Frères di Stella Maris College di Gżira , o quando egli riparava qualche orologio.

Si privava di bevande, di dolci e di disserta. Un giorno, suo sorella la signora Mary Borg Manché ci ha detto, Don Carlo era stato invitato a mangiare da loro e dopo cena gli offerirono un pezzo di frutta. «Per mangiare frutta», don Carlo disse loro, «si deve lavorare per essa. Il frutto è nell’altro mondo.»

Coloro che hanno dato prova, tutti ci hanno detto che il parroco Manché era un prete molto caritatevole e generoso. Quello che aveva non era il suo, perché ben presto lo dava via ai poveri ed a coloro che glielo chiedevano, anche se alcuni si prendevano gioco di lui. Qualcuno ci ha detto che nessuno andava a lui per chiedere l’elemosina e partiva a mani vuote. Spesso aiutava le donne che erano in pericolo di perdere la propria reputazione a causa della mancanza di denaro. Abbiamo scoperto che avrebbe anche dato via i vestiti nuovi che avrebbe comprato per se stesso o ricevuti da qualcuno della sua famiglia, e mantenuto i vecchi vestiti per se stesso.

Mons Karmenu Farrugia, ex parroco di San Gregorio ci ha detto che aveva sentito dire che don Carlo Manché voleva applicare per la cattedra di Filosofia della nostra Università (e gli meritava ed era capace di esso) non per l’onore, ma per guadagnare di più denaro, così lui avrebbe più da distribuire ai poveri. Ma si accorse che i due erano responsabilità incompatibili, e finì per non applicare. «Solo Dio sa quanto ha fatto la carità con i poveri», ci hanno detto alcuni testimoni.

La generosità del parroco Manché era qualcosa di straordinario, per non dire esagerato. Visitalo, fargli vedere che ti è piaciuto qualcosa che aveva e lui ti chiede: «Ti piace? Lo vuoi? Prendilo.» Il professor Manché mi ha detto che una volta vide la sua preziosa copia antica della Bibbia. Lo raccolse e mostrò il suo apprezzamento di essa. Suo fratello parroco gli disse: «Ti piace? Prendila.» «Ma no, dovrei prendere da te una Bibbia come questa?» «Se non te la prendere, lo farà qualcun altro.» «Se qualcun altro la prende, allora la prendo io.» E il professore la prese ed ancora la valora come un ricordo.

Don Emmanuele Zammit ci ha detto che una volta Don Carlo chiese il permesso dell’arcivescovo Gonzi per iscritto per diventare un monaco carmelitano. L’Arcivescovo rispose: «Vi prego a ritirare la vostra richiesta, perché la vostra missione di parroco di Gżira non è stata completata.»

Amava i Religiosi e le Associazioni

Il parroco era felice di ricevere l’aiuto che riceveva nella parrocchia non solo dai sacerdoti, ma anche dai religiosi e laici.

Durante il suo tempo, i Frères inaugurarono una scuola grande e bella sotto il vecchio nome di Stella Maris College, dove il parroco si recava spesso a predicare o officiare qualche funzione. Egli inoltre introdusse nella parrocchia le Suore Agostiniane, che aprirono una chiesa, un convento ed una scuola. Era il loro confessore, consulente e benefattore.

Anche durante il suo tempo l’Azione Cattolica e la Legione di Maria, si erano inaugurati.

Per attirare la gente trasformò il cortile della casa parrocchiale in un piccolo teatro ed istituò una società musicale gestita dall’Azione Cattolica. In realtà, il presidente di questa società, che era mio cugino Karmenu Grixti, era il presidente della Banda Monte Carmelo.

La morte dei santi è preziosa

Don Carlo Manché dopo la sua morte prematura a 45 anniDice la Scrittura: «Preziosa davanti al Signore è la morte dei suoi santi». Per questo motivo, la morte del parroco Carlo Manché, che ha vissuto una vita santa, doveva essere preziosa davanti a Dio.

Quando morì aveva solo 45 anni. Qualche tempo prima di morire, ha avuto un attacco di trombosi. I Frères gli offrirono e vollero prendere disposizioni per un periodo di riposo per lui nella loro Casa Madre a Roma, Italia. Si dice che l’Arcivescovo volle nominarlo monsignore per alleviarlo il peso delle responsabilità parrocchiali. Tuttavia, come un soldato coraggioso, voleva morire con la spada in mano sul campo di battaglia.

Tre giorni prima di morire, secondo il suo fratello il professore, Don Carlo andò a trovarlo, e come medico, lo visitò e gli disse: «Faresti meglio a tornare a casa e andare subito a letto.» A casa andò, ma al letto non andò perchè voleva continuare a lavorare nella sua parrocchia. La sua salute continuò a dare chiare indicazioni che la morte non era lontano.

Il 18 novembre 1950 – era il Sabato – il medico ordinò che a Don Carlo vengono amministrati gli ultimi sacramenti. Com’era giusto, i membri della sua famiglia erano convocati. Don Luigi Cutajar, un carmelitano, si avvicinò a confortarlo. Don Carlo, con una grande devozione alla Madonna, baciò lo scapolare della Madonna. Don Edward Corrado somministrò l’estrema unzione a Don Carlo. Quella stessa notte, Don Carlo si arrese la sua anima nelle mani di Dio. Il giorno seguente la Grande Missione era programmata per iniziare in quella parrocchia. Forse il parroco, come un testimone osservò, si è offerto a Dio come vittima per la conversione dei peccatori nella parrocchia che si terrà nel corso di tale missione?

Il Funerale

Il funerale ebbe luogo il giorno seguente, la Domenica. Lo portarono per le strade di Gżira vestite in abiti sacri in una bara aperta. Quattro colleghi parroci svolsero il drappo funebre e dietro la bara in una lunga processione camminava la sua famiglia, il rappresentante dell’Arcivescovo, il ministro dell’Emigrazione, il presidente dell’Assemblea legislativa, il capo del partito costituzionale, un folto corpo di sacerdoti diocesani e religiosi, le associazioni cattoliche e gli studenti universitari.

Le bandiere a Gżira volavano a mezz’asta, le porte delle case erano chiuse, i negozi con la fascia nera di rispetto, e gli uomini indossavano cravatte nere. Un grande senso di perdita dapertutto e la gente piangeva ovunque.

Non aveva niente ma ha preso molto con lui

Che cosa ha lasciato dietro il parroco Manché? Un letto di metallo con doghe di legno, materasso d’erba, due cuscini in piuma, una sedia, un tavolo, una piccola scatola piena di spazzatura, uno scaffale con alcuni libri, un orologio e un paio di scarpe strappate.

Ci ha detto Don Edward Corrado che non sa se Don Carlo lasciò qualche soldi; sa soltanto che non lo aveva mai visto con i soldi, tranne per ciò che apparteneva alla chiesa. Il professor Manché mi ha detto: «Lontano da lasciare dietro i soldi, abbiamo dovuto ripagare un debito di £400 che aveva preso in prestito dalla Curia per il bene della parrocchia e lui non aveva ancora pagato.» I fratelli Manché erano abbastanza generosi a contribuire alla somma e pagarono il debito. Invece di ereditare hanno dovuto pagare. Ma Dio li ripagherà al centuplo.

Il parroco Carlo Manché lasciò nulla, perché tutto quello che aveva condivise con i poveri e spese per il bene della parrocchia. Ma con lui ha preso migliaia e migliaia di azioni buoni e santi che fece durante la sua vita. E Dio gli ha dato sicuramente la ricompensa per loro in cielo.

La Società dei Sacerdoti “Christus Rex” ha pubblicato questa biografia in maltese nel 1975 per onorare il parroco Carlo Manché, in occasione del 25° anniversario della sua morte. Christus Rex soprattutto si ringrazia Mons. Prof. Arturo Bonnici che ha accettato il compito di scrivere questa biografia del parroco Manché.

 La Società si ringrazia anche tutti coloro che hanno fornito informazioni sulla parroco Manché, tra i quali Chev. Joseph Borg, il signor Hector Borg, la signora Mary Borg Manché, Don Antonio Calleja, Gianni Cauchi, Don Edward Corrado, Don Luigi Cutajar OC, Antonio Farrugia, Mons. Carmelo Farrugia, signor Joseph Formosa Holt, Antonio Grima, il signor Mabbli Mamo, Prof Giuseppe Manica, il signor George Muscat, Bro. Robert Sammut FSC, Sr Eustachia Schembri, Ordine Agostiniano, Bro. Emmanuel Sciberras SFC, il signor Henry Scicluna, il signor Carmelo Tabone, Don Emmanuele Zammit.

Tradotta dal maltese da Edwin Borg-Manché

L’apprezzamento del Signor A Turnham pubblicata nel The Times of Malta
Carlo Manché da bambino
Don Carlo Manché come studento di teologija nel 1928
Rev Carlo Manché, Parroco di Gzira
Don Carlo Manché col fratello Prof Joseph A. Manché alla sua destra e suo babbo il Dottor Charles Manché
Il corteo funebre davanti alla chiesa parrocchiale di Gzira
Il corteo funebre sul lungomare a Gżira il 19 novembre 1950
Il corteo funebre a Gzira
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